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Shamīr, Yishāq.

Uomo politico israeliano. Attivo politicamente fin da giovanissimo, aderì al Beitar, ala militare del Partito sionista polacco, trasferendosi nel 1935 in Palestina. Qui si arruolò nell'Irgùn Zwaì Leumì, movimento ebraico clandestino guidato da M. Begin, da cui si distaccò per creare il Lohamei Herut Israel (1940), nucleo oltranzista impegnato nel sabotaggio di obiettivi arabi e inglesi. Catturato e deportato in Eritrea, S. si rifugiò infine a Gibuti dove risiedette sino al 1948, anno in cui si stabilì nel neocostituito Stato di Israele. Passato nel 1949 ai servizi segreti israeliani (Mossad), vi ricoprì incarichi significativi nel periodo 1955-65, rientrando nella vita politica ufficiale nel 1966 con il riavvicinamento a Begin e con l'adesione all'Herut (1970), partito dell'estrema destra, di cui fu eletto deputato (1973). Due volte ministro degli Esteri (1979-83; 1984-86) e primo ministro (1983-94; 1986-92), S. si oppose a qualunque negoziato in merito ai territori conquistati da Israele nel 1967, rifiutando gli accordi di Camp David (1979) e ogni mediazione con l'OLP. Il Governo S., subentrato a quello di S. Peres in conformità agli accordi di alternanza tra il Likud (movimento conservatore) e i laburisti, dovette affrontare dal 1987 l'Intifada (V.), la rivolta palestinese, nei confronti della quale S. adottò sempre una rigida intransigenza. Partecipò ai colloqui per la pace in Medio Oriente che ebbero inizio nel 1991, ma la sua politica, favorevole ai nuovi insediamenti ebraici in Cisgiordania, intralciò i negoziati con i palestinesi e rese difficili i rapporti con gli Stati Uniti. Nel 1993, in relazione alla sconfitta elettorale del 1992 da parte di Yitzhak Rabin, S. si ritirò dal Governo, cedendo la leadership del Likud a Benjamin Netanyahu. Nel 1996 non si ricandidò alle elezioni per la Knesset (n. Ruzinoy, Polonia 1915).